“Non si è obbligati a comprendere per amare. Ciò che occorre è sognare”, con questa sua bellissima frase voglio ricordare David Linch, eclettica e visionaria icona della cinematografia mondiale, grande regista, scrittore e molto altro, che ci ha lasciati il 15 gennaio.
E con i ricordi scorrono le scene di quei film che tanto ci hanno suggestionato, quei film, composti a suo dire “ della materia di cui sono fatti gli incubi”. Dirige abilmente I segreti di Twin Peaks (1990-2017) e nel 1990 il thriller Velluto Blu, interpreta in modo sublime il dolore umano in The Elephant Man, è vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 1990 per Cuore Selvaggio e poi del Prix de la mise en scène nel 2001 per Mulholland Drive.
Tra i capolavori di Linch voglio soffermarmi su Mulholland Drive, sulla sua narrazione visiva e sulla significativa duplicità/contrasto che accompagna il film dall’inizio alla fine, o dalla fine all’inizio. In particolare sul personaggio di Diane, col suo percorso interiore costituito dal suo tormento, dall’ossessione e dai molteplici insopportabili sensi di colpa, che la condurranno alla follia.
Le musiche e le canzoni nel film si sostituiscono spesso alle parole dei personaggi, producendo un effetto straniante.
Elemento di fondamentale importanza per l’interpretazione del film è una chiave onirica di forma triangolare, Titolo Delta, che appare nel corso del film ed è in realtà la chiave che apre il cosmo Diane. Il riferimento immediato e ineludibile è alla Tetraktys, che per i Pitagorici è l’origine dell’universo, contiene la radice del flusso eterno della creazione ed è la chiave di tutte le cose. E’ quella chiave che offre una sponda per l’interpretazione del film, rappresentando il punto iniziale da cui tutto si espande e a cui tutto prima o poi tornerà.
Del regista “visionario” Linch, indiscutibilmente uno dei più grandi della storia, rimangono i suoi bellissimi film, con cui continuerà ad essere punto di partenza e di riferimento per i giovani appassionati di cinematografia.
Ester Isaja
