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Cultura

“Scatola” Ossessioni da asporto con Elio Crifò

Successo della prima nazionale nel cartellone estivo 2022 della Fondazione Taormina Arte

In scena a Taormina la prima nazionale di “Scatola” – Ossessioni da asporto, spettacolo liberamente ispirato
al celebre film “The Wall” di Alan Parker, nell’ambito della programmazione estiva 2022, della Fondazione
Taormina Arte. Al Palacongressi applaudita la performance composita nella quale recitazione, danza e
musica si sono mescolate armonicamente e hanno dato vita a uno spettacolo di grande effetto, che ha visto
l’apprezzato attore messinese Elio Crifò (nel ruolo dell’uomo annichilito dinnanzi ad un opprimente muro di
scatole) calato in un monologo profondo e avvincente. Lo spettacolo è stato armonizzato da sei danzatrici,
che con la danza hanno dato forma alle angosce del protagonista, scandite dalle note dei brani storici dei
Pink Floyd riarrangiati per l’occasione ed eseguiti dal vivo dalla “The Box Rock Band”.
Prodotto dalla Fondazione Taormina Arte, con la regia di Valerio Vella, “Scatola” racconta, attraverso la
“sperimentazione” dialogica del protagonista con se stesso, il fallimento della modernità (rappresentata
dall’immagine della “spazzatura che avvelena il mondo”) e della globalizzazione della società odierna
(costituita da “androidi burattini”) abbrutita dal consumismo imperialistico, dall’incomunicabilità e dalla
prevaricazione, trasfigurata in una realtà nella quale la follia sembra essere l’unica risposta possibile.
“Scatola” è l’emblema di un percorso “a ritroso” tipico del Decadentismo di fine Ottocento, che si traduce
nella geometria della televisione (“pitagorica perfezione della forma quadrata” e della “ideale estensione
spaziale, il cubo”), capace di “soddisfare” i bisogni dell’uomo, ignaro di trovarsi di fronte al “balcone” di
futuri tiranni. Dall’immagine dello specchio che svela il volto dell’uomo di fronte alle sue infinite maschere,
tipica della dialettica pirandelliana tra vita e forma, al male di vivere montaliano racchiuso in un lessico
tanto ermetico quanto espressivo, all’essenza del Manifesto Futurista di Tommaso Marinetti, il testo è
arricchito da riferimenti letterari assemblati in un virtuoso mosaico linguistico che trova la propria ragion
d’essere in una scatola-concettuale contenente le opinioni d’innumerevoli autori distanti per periodo,
genere culturale e matrice artistica (Betocchi, Pasolini, Philip K. Dick, Pink Floyd…) ma per questo non certo
tra loro incompatibili. “Scatola” pone in primo piano i temi e i dilemmi dell’uomo e la sua visione
“apocalittica” del mondo, un’analisi critica disillusa e disincantata, delineata dai paradigmi di un
modernismo che fagocita l’essenza primordiale del proprio genere. Protagonista di un monologo
“surreale”, “in un atteggiamento di contemplazione della realtà”, si mette a nudo rivelando la paura “del
mondo e nel mondo”, abbandonato a un alternarsi puntuale tra il flusso verbale della propria coscienza e lo
specchio coreografico, suo riflesso animato. E’ come un gioco di scatole cinesi quello in cui ci trasporta
l’autore. Vive  in un condominio-scatola, in una casa-scatola e guarda una TV-scatola, mentre interroga se
stesso davanti ad un incessante scorrere di immagini di cui non comprende più il senso, pur non  riuscendo
a farne a meno. Vuole ancora volare, ma non riesce a comprendere in che direzione, preferendo rimanere
fermo lì davanti alla scatola a contemplare silenzioso. Oscilla, tra desiderio di  partecipazione ed
autoesclusione sociale, mentre la proiezione della vecchiaia gli si staglia davanti con l’ormai fioco barlume
di una speranza verde nella pupilla. Tra le righe del testo si percepisce lo spettro di una profonda solitudine
esistenziale e anche la paura del futuro che si nasconde dietro una faccia che non mostra emozioni,
inespressiva ai più che continuano a vivere in apparente serenità in un mondo di scambi  meramente
formali, di frasi fatte, di luoghi comuni, tra guerre, malattie e distruzioni. Nonostante la scena apocalittica
del secondo sogno in cui la prima TV a colori esplode in un altissimo fungo atomico, è nella felicità bambina,
nell’entusiasmo infantile che simmetricamente si pone in antitesi con il vecchio delle battute iniziali, che
credo si possa cogliere l’auspicio, la pars construens di un testo, che fin qui  dominato da una scrittura in
bianco e nero, finalmente, all’improvviso, paradossalmente diventa a colori.
I balletti di modern e contemporaneo sono stati eseguiti dalla compagnia di danza “Marvan Dance”, diretta
da Mariangela Bonanno che, con Alice Rella e Giorgia Di Giovanni, hanno firmato le coreografie.

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