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La storia ritrovata e sovente purtroppo dimenticata di Messina

La storia non va dimenticata

“Non capita spesso che una città debba spostare la propria data di fondazione di Mille anni. Questo è successo a Messina, dove dal 1967 ad oggi, si son raccolti gli elementi di una rettifica anagrafica che aggiunge quasi dieci secoli di vetustà ad un passato che sino a ieri trovava il limite più remoto nella seconda metà dell’VIII secolo avanti Cristo, al tempo cioè della colonizzazione greca”.
Inizia così la premessa del raro volume “La storia ritrovata 1965-1975 Dieci anni di ricerca archeologica a Messina”. Un’autentica “pietra miliare” che Franz Riccobono ha voluto mandare in stampa, proprio nel 1975, per scrivere nuove pagine di memoria antica da trasmettere ai posteri.
“… Circa quaranta secoli di storia sono concentrati nei pochi metri di depositi naturalmente stratificati, che dividono i fondi delle capanne preistoriche dall’asfalto della Messina contemporanea” si legge ancora nella premessa che illustra il lavoro portato avanti, in quel decennio, dal Gruppo Archeologico e successivamente “sotto gli auspici dell’Associazione Amici del Museo Nazionale di Messina”.
Testimonianze del passato, insomma, ben descritte e catalogate dopo una lunga attività “sviluppata in modo autonomo e spontaneo, e realizzata grazie al personale contributo economico di quanti fanno parte del gruppo stesso”.
Su “La storia ritrovata” vengono riportate e descritte preziose planimetrie con riferimenti particolareggiati ai siti dei ritrovamenti archeologici, stratigrafie di scavo, datazione di tutti i reperti (anche preistorici) rinvenuti nelle necropoli e negli antichissimi insediamenti urbani e suburbani, per finire con un elenco di notizie e scritti su periodici e quotidiani.
Ma non è di certo questa l’occasione per illustrare ciò che, con grande fatica e tanta passione, un ben assortito gruppo di studiosi fu in grado di “donare” alla nostra città, riportando a galla memorie altrimenti destinate all’eterno oblìo. Un lavoro certosino che, durante le ricognizioni nella zona Peloritana, ha tra l’altro portato alla “localizzazione della Fortezza Bizantina di Micos posta sul pianoro sommitale di Monte Scuderi e del coevo Castello di Fiumedinisi”.
Chi scrive, oggi, lo fa quindi perché il frutto di tale, immensa opera di scavi, non venga colpevolmente dimenticato, così come è stato fino adesso. “La Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale con sede a Siracusa e dalla quale dipende amministrativamente la Provincia di Messina, ha seguito con interesse la nostra attività, intervenendo in numerose occasioni e trattenendosi tutto il materiale recuperato che purtroppo attende ancora di essere sistemato ed esposto al pubblico”, annotava ancora Franz Riccobono in quella prefazione elaborata nel lontano 1975.
Ebbene, a chi scrive oggi non risulta (ma potrei sbagliarmi, ndr.) che questo materiale sia stato messo in esposizione nella Sezione Archeologica del Museo della Città dello Stretto. In buona parte, infatti, questo dovrebbe essere ancora custodito al Museo “Paolo Orsi” di Siracusa, ma anche nei depositi della Soprintendenza di Messina.
L’appello che si lancia alle istituzioni competenti attraverso queste colonne di stampa “suona” quindi, più o meno, così: è possibile recuperare il materiale archeologico conservato a Siracusa portandolo a Messina, per renderlo così disponibile nella sua sede naturale?
E se ciò sarà fattibile, magari con un po’ di buona volontà, perché non organizzare una grande e bella mostra permanente, unitamente agli altri “pezzi” rinchiusi nelle buie e polverose camere degli enti preposti alla loro conservazione?
La storia non va dimenticata.
 Cesare Giorgianni
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