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Silicon Valley dello Stretto: la dissalazione a membrane RO inquina il mare, meglio l’uso delle nanotecnologie con luci LED autopulenti

Riflessioni a voce alta del Prof Aldo Ficara

Riflessioni a voce alta del Prof Aldo Ficara:

La crisi idrica di Messina apre la strada dei dissalatori come possibile soluzione del fabbisogno d’acqua cittadino. L’idea dei dissalatori, per desalinizzare acqua di mare o acque variamente salmastre e renderla disponibile per le attività umane, non è nuova e sembra oggi sempre più una soluzione concreta e realistica per soddisfare almeno parte della sete di acqua dolce dell’umanità – e ci sono forti interessi (non solamente sociali e umanitari) a ottimizzare le tecnologie di desalinizzazione e ad abbatterne i costi per l’utilizzo su grande scala, costi che sono ancora troppo elevati per molti dei Paesi che ne avrebbero maggiormente bisogno. I circa 16.000 impianti di dissalazione disseminati per il mondo sono infatti per la maggior parte concentrati in Medio Oriente e in nord Africa, in contesti economicamente sviluppati e ricchi. Uno studio   del dicembre 2018, commissionato dall’Onu, rivela che la capacità di produzione di acqua più o meno dolce degli impianti di desalinizzazione è pari a circa 95 milioni di metri cubi al giorno, ossia circa 95 miliardi di litri al giorno.  Secondo il Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), entro il 2050 circa il 60 % della popolazione mondiale potrebbe subire gravi carenze idriche, mentre il 33 % che è già ora in difficoltà. Alcuni paesi sono già sulla buona strada per soddisfare il loro fabbisogno mediante la   dissalazione; come ad esempio Israele con oltre il 40 % e l’Arabia Saudita con il 70 % dell’acqua nelle città che proviene dalla dissalazione, ovvero il processo che trasforma l’acqua di mare salata in acqua dolce potabile. L’Europa possiede circa il 10 % della capacità globale di dissalazione, con al primo posto la Spagna, con oltre 700 impianti attivi. Ma la tecnologia attuale presenta dei problemi. Il flusso di rifiuti generato dalla dissalazione effettuata usando la RO (  reverse osmosis:  membrana polimerica molto densa consente solo alle molecole di acqua di passare ) è uno di questi problemi. I rifiuti provenienti dall’acqua salmastra e le sostanze chimiche aggiunte sono solitamente riversati in mare. Complessivamente il processo consuma anche delle quantità notevoli di energia. Una dissalazione ottimale usando membrane RO è limitata dalla precipitazione di molti sali minerali, chiamata incrostazione superficiale, e dal fouling biologico causato dai batteri, fenomeni che portano entrambi a una durata ridotta della membrana. Per eliminare il pericolo inquinamento interviene la nanotecnologia ( il mondo dell’infinitamente piccolo ), infatti,  come suggerisce il gruppo di studio  Silicon Valley dello Stretto si dovrebbe usare un nuovo dispositivo di dissalazione, progettato in modo da essere autopulente mediante l’utilizzo di un involucro ricurvo aggiuntivo con luci LED. Questo fornisce la luce per attivare un catalizzatore al biossido di titanio (TiO2) nelle membrane in polivinilidenfluoruro (PVDF) o in quelle in ossido di alluminio.

Nella foto archivio impianto dissalatore esistente

 

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