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Cronaca

La sentenza del maxiprocesso contro la mafia dei Nebrodi

Il processo “Nebrodi” contro i clan dei pascolli

I giudici del tribunale di Patti hanno disposto 91 condanne per oltre 600 anni di carcere, 10 assoluzioni e il sequestro di beni per circa 4 milioni di euro nel processo “Nebrodi” contro i clan dei pascoli. La pena più alta riguarda Salvatore Faranda, condannato a 30 anni di reclusione.

Le indagini avevano come obiettivo le truffe ai fondi comunitari destinati ai pascoli e all’agricoltura. Un sistema che è stato combattuto dal protocollo Antoci diventato legge dello Stato. Un protocollo ideato dall’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, sfuggito ad un grave attentato, presente in aula alla lettura della sentenza.

Sentenza arrivata al termine di una lunghissima camera di consiglio iniziata lunedì scorso. La sentenza è del tribunale di Patti presieduto da Ugo Scavuzzo e composto dai giudici Andrea La Spada e Eleonora Vona. Il processo era nei confronti di 101 imputati per i quali erano stati chiesti oltre mille anni di carcere dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio ed i sostituti procuratori Antonio Carchietti, Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Alessandro Lo Gerfo.

Parte civile nel processo l’assessorato territorio e ambiente, Agea, le associazioni Addiopizzo, il centro studio Pio La Torre, Sos impresa- rete per la legalità, Libera e il parco dei Nebrodi ed ancora il Comune di Tortorici. Il tribunale di Patti presieduto da Ugo Scavuzzo ha condannato 91 dei 101 imputati a 600 anni di carcere nel processo istruito dai magistrati della procura di Messina, fino a qualche giorno fa diretti da Maurizio de Lucia, oggi a Palermo. Il blitz di carabinieri e guardia di finanza, scattato nel gennaio 2020, svelò un complesso sistema di società messo in campo dagli insospettabili complici dei boss: la gran parte delle 151 società avevano sede a Tortorici, un paese arroccato sulle montagne. Gli imprenditori prestanome attestavano falsamente di possedere centinaia di terreni, non solo in provincia di Messina, ma in tutta l’Isola, anche oltre. Erano false attestazioni. La mafia più antica di Sicilia aveva già inventato un moderno e ingegnoso affare: l’occupazione dei pascoli virtuali, con l’obiettivo di aggirare il protocollo voluto dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci per bloccare gli affidamenti dei terreni demaniali a boss e prestanome. Antoci, presente al momento della lettura della sentenza, dice: “Si chiude un cerchio e si scrive una pagina di storia, si libera un territorio. Da quel 2013 non avrei mai immaginato di attraversare una strada così tortuosa, non avrei mai pensato di dover rischiare la vita e perdere la libertà, così come non avrei certamente mai pensato di contribuire a creare una norma dimostrata, nei fatti, devastante per le organizzazioni mafiose”.

È stato il processo dei grandi numeri, celebrato stavolta in tempi record. Nel provvedimento che portò al blitz, il gip Salvatore Mastroeni scrisse parole di grande amarezza: parlò di una “evidente inestirpabile” mafia di Tortorici. “Nonostante decine e decine di operazioni e processi, qui la mafia è, per assurdo, una specie di classe sociale, come tale contrastabile, ma non eliminabile quasi già come categoria”. Dopo la mafia silente, la mafia che si evolve, “araba fenice che sempre risorge”.

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