Un processo ancora mai realmente iniziato potrebbe vedere la luce grazie a una norma contenuta nella riforma della Giustizia promossa dall’ancora ministra Marta Cartabia. Parliamo di quello contro i presunti assassini di Giulio #Regeni e della responsabilità dell’Egitto mai confessata del tutto, anzi. Questa norma consentirebbe di aggirare l’ostruzionismo e la resistenza delle autorità egiziane, che in questi anni hanno fatto di tutto per tenere al riparo i quattro agenti della sicurezza nazionale accusati di aver rapito, torturato e ucciso Regeni nel lontano 2016. La norma in questione riguarda la notifica all’estero degli atti di un processo giudiziario, ovvero ciò che ha bloccato di fatto il procedimento. Sia la Corte d’Assise di Roma che la Corte di Cassazione non hanno potuto svolgerne uno regolare proprio perché impossibilitati a notificarlo agli imputati, dal momento che il governo egiziano non ha mai comunicato gli indirizzi dei sospettati. Con la norma che a breve entrerà in Gazzetta Ufficiale non sarà più necessario inviare la notifica a casa, ma basterà recapitarla sul loro luogo di lavoro e, un mese dopo, agli avvocati difensori. In questo modo ci sarebbero tutti i presupposti per sbloccare l’iter giudiziario. I quattro agenti, i cui nomi sono ormai ben noti, erano stati rinviati (molto faticosamente) a giudizio dal GUP nel maggio 2021. Parliamo del generale Sabir Tareq, i colonnelli Ather Kamal e UshamHelmy, oltre al maggiore Magdi Sharif. Tutti sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio e concorso in lesioni personali (anch’essi aggravati). Poco prima, nel dicembre 2020, la procura del Cairo aveva firmato un decreto di archiviazione, nell’ennesimo tentativo di chiudere il caso, e non è detto che si fermino nonostante il nuovo provvedimento.
Maurizio Russo