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Educhiamo ad amare

La tragica storia di Giulia Cecchettin

Oggi si sente ripetere, spesso, “Giulia Cecchettin: femminicidio n.105 del 2023”. Eppure, Giulia non è solo un numero che si aggiunge ad un elenco che cresce a dismisura giorno dopo giorno mentre il mondo sembra accettare tutto con rassegnazione. Giulia era una ragazza di 22 anni, nata e residente a Vigonovo, una comunità di diecimila abitanti in provincia di Venezia, che ha visto la sua vita tragicamente spezzata da quello che definivano un “bravo ragazzo”.

La sua tragica storia inizia sabato 11 Novembre quando decide di incontrare il suo ex, Filippo Turetta, per andare in un centro commerciale. La loro relazione era finità già da qualche mese ma Giulia aveva scelto di mantenere con lui dei “buoni rapporti”. Aveva scelto di vederlo per comprare insieme a lui le scarpe che avrebbe dovuto indossare il giorno della sua laurea. Nonostante il dolore provato per la morte della madre, aveva continuato a studiare e il giorno tanto atteso era ormai alle porte. Si sarebbe dovuta laureare lo scorso giovedì ma qualcuno aveva già deciso che ciò non sarebbe accaduto. Secondo quanto documentato dalle telecamere dello stabilimento Dior, in via Quinta Strada a Fossò, i due quella sera avrebbero litigato, in maniera furibonda. Filippo avrebbe picchiato Giulia, facendola cadere a terra e prendendola a calci. Mentre Giulia avrebbe provato a difendersi, Filippo continuava a infierire, colpendola violentemente, forse con un coltello. Sanguinante ed esanime l’avrebbe caricata in macchina e gettata in quel dirupo dove il suo cadavere è stato rinvenuto solo ieri.
Da sabato fino a ieri, i familiari hanno sperato, costantemente, che non si fosse verificato ciò che temevano, che la folle gelosia di Filippo non fosse arrivata a spezzare la vita di Giulia. Ieri Gino Cecchettin è stato chiamato a riconoscere il cadavere della figlia, a vivere quello che, purtroppo, sembrava un epilogo già scritto.

Una storia che si ripete. Un ragazzo che considera la sua ex come un oggetto di sua proprietà e in quanto tale non dotato di autonomia, di libertà di scelta. Giulia non doveva laurearsi perché ciò l’avrebbe portato a sentirsi inadeguato. Giulia non aveva diritto a vivere una vita lontano da lui. Per chi, come Filippo, è animato dalla folle logica del possesso, ogni parola è superflua, nociva in quanto consente all’altro la libertà di esprimersi. La legge della parola lascia il passo, dunque, a quella dell’arroganza, della violenza. “Sei mia” e, pertanto, decido di costringerti al silenzio, di annientarti. Ecco che, come in un triste ritorno dell’uguale, la storia si ripete e Giulia è una vittima che si aggiunge ad un lungo elenco.

La sua morte, però, dovrebbe scuotere le coscienze degli uomini così come delle donne. Se ancora oggi in un mondo che si professa globalizzato, civilizzato, che si vanta di garantire le pari opportunità si verificano quasi quotidianamente casi di femminicidio, forse c’è più di qualcosa che non va. Mentre si piange la morte di Giulia, si grida già, in queste ultime ore, “Non di nuovo” a proposito della scomparsa in Veneto della sedicenne, Carol Bugin.

Non basta gridare “Non di nuovo” . Il sacrificio di Giulia è l’emblema di una società malata, dominata ancora oggi dal maschilismo e dalla follia del possesso. Una società che, in quanto tale, va curata urgentemente e tempestivamente. Bisogna prima di tutto, educare all’affettività, far comprendere ai nostri giovani cosa sia realmente l’amore. Amore non è gelosia, non è prigione, non è oppressione, non è possesso, non è arroganza e non è violenza. Giulia, forse non lo sapeva, e ha riposto il suo amore in un ragazzo che non aveva idea di cosa significasse amare. Bisogna educare la società dei social al rispetto dell’altro che è ben altro dal porre un like sotto una foto. Bisogna educare, con atti concreti, alla parola, alla comprensione, all’ascolto. È ora di educare i più giovani a conoscere ciò che la maggior parte degli adulti, nel corso del proprio cammino evolutivo, ha dimenticato, come se fosse superfluo. Ci crediamo, comunemente, migliori rispetto alle generazioni passate ma lo siamo davvero? Forse è giunto il momento di chiederselo, di valutare se non chiamiamo progresso un inconsapevole regresso civile e morale. Solo interrogandoci e impegnandoci, concretamente, da tale punto di vista, potremo rendere giustizia a Giulia, far sì che la sua morte non sia vana, che non sia un semplice numero che si aggiunge ad un elenco destinato a crescere all’infinito. Educhiamo al rispetto dell’altro, educhiamo ad amare. Non c’è più tempo per le parole, è ora di agire perché queste storie già scritte non abbiano a ripetersi, perché il 25 Novembre non sia solo una ricorrenza retorica, perché si ponga fine, realmente e concretamente, a questo triste eterno ritorno dell’uguale.

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