“Un anziano aggredito violentemente…”. Quest’ultimo avverbio risuona con forza, si
percepisce tutto il peso degli interrogativi che pone, della responsabilità educativa che tutti
riguarda, della necessarietà dell’attenzione e quindi dell’urgenza del dire.
C’è forse bisogno di un tempo opportuno per elaborare la brutalità di alcuni episodi e
l’ingiustificabilità di gesti compiuti dinanzi agli occhi terrorizzati di un bambino che
dicono, evidentemente, di una fragilità che è profonda e sempre più diffusa. L’Azione
Cattolica diocesana ha avvertito forte, dunque, l’esigenza, a distanza di qualche giorno, di
esprimere il proprio dissenso, di prendere nettamente le distanze, interrogandosi,
dall’ennesimo caso di violenza verificatosi sul nostro territorio. L’ennesimo caso in cui la
violenza, considerata mezzo risolutorio, prende il posto della parola, non accetta la
pazienza del dialogo, diviene mezzo di espressione che mira a raggiungere l’obiettivo il più
rapidamente possibile: il rifiuto dell’altro, l’umiliazione del più fragile che sembra
accrescere la forza di chi si impone. Non è più sufficiente fermarsi sulla linea che separa
vittime e carnefici; forse, oggi, la fragilità ha come sfondo anche la perdita dell’identità,
del senso del vivere in uno spazio comune, dell’assenza di comunicazione tra le
generazioni. Siamo fatti, anzitutto, di dialogo e parola e solo una cultura che fa scorgere un
orizzonte di senso comune che sia credibile, solo una rinnovata educazione alla relazione
potrà arginare la legge del più forte e far sì che la violenza non sia più l’ultima parola.
